Marcovaldo è un operaio, ma non è mica un operaio come gli altri. Come gli altri certo guadagna così poco da potersi permettere giusto una casupola piccolissima, come gli altri non ha alcuna possibilità di concedersi un vizio – è roba da ricchi, quella. Eppure Marcovaldo, a differenza degli altri, sogna: e immagina. Ama andare al cinema, per esempio, perdersi tra le immagini dei film di avventura; gli piace fantasticare, credersi lì, in quegli scenari esotici popolati da esploratori e impavidi eroi. Lui non è un eroe, men che meno impavido; e la città in cui vive non ha niente di affascinante: è solo un territorio bigio, scuro, imbruttito dalle fabbriche e dai loro fumi fetidi. Ma proprio perché il suo mondo non gli piace, Marcovaldo prova a ritagliarsi un angolo di cielo. In questo spettacolo inedito, Marcovaldo vuole girare un film, vuole diventare egli stesso un regista. Ha letto una leggenda sulle stagioni che cambiano, e si è deciso a prendere in mano una telecamera per girare una pellicola che – lui ne è certo – lo porterà a girare il mondo: presenterà la sua storia a tutti, il film avrà un grande successo, crede lui, e finalmente potrà lasciare il posto alla Sbav, la fabbrica in cui lavora, per diventare un grande regista. Eppure il piano di Marcovaldo subisce qualche scossone. E la strada verso il successo è in realtà costellata di diversi ostacoli.