Primavera 1945. Il campo di concentramento in cui si svolge la vicenda è ormai liberato, ma Elga Firsch, una famosa attrice ebrea, prima di lasciare per sempre il recinto della disperazione e dell’annullamento di un popolo, pretende un risarcimento. Perciò scandaglia ogni angolo della prigione per raccogliere le prove della colpevolezza di Dio, il vero responsabile – secondo Elga – delle inaudite atrocità inflitte agli ebrei.
Lo spettacolo prova ad essere una traversata razionale e, insieme, dolente della Shoah, per domandarsi quali cause abbiano potuto provocare un morbo nefasto che ha travolto i valori del mondo. Alla radice del dramma emerge la convinzione che l’uomo sia un semplice “burattino”: il dibattimento, dunque, è teso a comprendere fino a che punto sia colpevole chi lo manovra.
Il processo riguarda chiunque si chiami uomo, in qualsiasi età, lungo la catena del tempo, dal passato al futuro, per non dimenticare.
Il teatro, in questa operazione, si prefige di essere luogo della memoria collettiva.